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ROCCO E I SUOI FRATELLI



Regia: Luchino Visconti
Lettura del film di: BER/NAT
Titolo del film: ROCCO E I SUOI FRATELLI
Titolo originale: ROCCO E I SUOI FRATELLI
Cast: regia: Luchino Visconti – assist. alla regia: Jerry Macc, Lucio Orlandini - Areg.: Rinaldo Ricci - sogg.: Luchino Visconti, Vasco Pratolini, Suso Cecchi D'Amico, ispirato ai racconti de Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori - scenegg.: Luchino Visconti, Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli – fotogr.: (b. e n.) Giuseppe Rotunno – operat. alla macch.: Nino Cristiani, Silvano Ippoliti, Franco Delli Colli – aiuto operatore: Roberto Gengarelli – ass. operatori: Osvaldo Massimi, Enrico Fontana - scenogr.: Mario Garbuglia – aiuto architetto: Ferdinando Giovannoni – aiuto arredatore: Pasquale Romano - cost.: Piero Tosi – aiuto cost.: Bice Brichetto – trucco: Giuseppe Banchelli – parrucc.: Vasco Reggiani - mus.: Nino Rota – tecnico del suono: Giovanni Rossi – fotogr. di scena: Paul Ronald – segr. di ediz.: Albino Cocco - mont.: Mario Serandrei - interpr.: Alain Delon (Rocco), Renato Salvatori (Simone), Spiros Focas (Vincenzo), Max Cartier (Ciro), Rocco Vidolazzi (Luca), Katina Paxinou (Rosaria, la madre), Annie Girardot (Nadia), Roger Hanin (Morini), Paolo Stoppa (l'impresario di pugilato), Suzy Delair (Luisa, la padrona della stireria), Claudia Cardinale (Ginetta), Claudia Mori (una commessa della stireria), Alessandra Panaro (la fidanzata di Ciro), Corrado Pani (Ivo), Becker Masoero (la madre di Nadia) – direttore di produz.: Giuseppe Bordogni – ispett. di produz.: Anna Davini, Luigi Ceccarelli – segr. di produz.: Romolo Germano, Mario Licari - coprod.: Goffredo Lombardo per la Titanus, Les Films Marceau – origine: Italia-Francia, 1960 - distrib.: Titanus - m. 3.600 - 130'.
Sceneggiatura: Luchino Visconti, Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli
Nazione: ITALIA FRANCIA
Anno: 1960
Presentato: Restaurato nel 2014 e presentato a Cannes 2015
Premi: Restaurato nel 2014 e presentato a Cannes 2015

da: «Schedario Cinematografico», alla voce, 27.2.1963, BER/NAT

 

È LA STORIA DI una famiglia lucana (madre e quattro figli) emigrata a Milano dove il fratello più anziano (Vincenzo) si trova già per lavoro. Nelle varie peripezie, legate in parte ai consueti fenomeni dell'emigrazione meridionale al Nord, prende rilievo la vicenda di Simone, la quale condiziona quella di Rocco (che, per solidarietà fraterna, perde il posto di lavoro, rinuncia a Nadia innamorata, affronta la carriera pugilistica e si mette in contrasto con Ciro dopo l'assassinio compiuto da Simone), quella di Ciro (che, avviato a un serio lavoro e disgustato dal comportamento di Simone, si distacca sempre più dalla famiglia) e di conseguenza quella di tutta la famiglia, alla quale aggiunge elementi per una disunione, già iniziata con le difficoltà di inserimento nell'ambiente milanese (v. il matrimonio di Vincenzo). Simone, immischiato in equivoche faccende, non cura il suo lavoro di pugile e si attacca passionalmente a Nadia, donna di strada, tanto che quando questa, per amore di Rocco, tenterà la via della riabilitazione, egli ne provocherà con inaudita violenza l'umiliazione e finirà per ucciderla. La famiglia lentamente si sgretola, i fratelli prendono ciascuno la propria strada, la madre rimpiange amaramente d'aver voluto emigrare e Ciro, in un finale colloquio col giovane fratello Luca, considera l'ineluttabilità di un mondo di progresso dove non c'è posto per «santi» come Rocco.

Il film è diviso in cinque capitoli, annunciati dall'apparire sullo schermo del nome che dà titolo ai capitoli stessi e cioè: «la madre, Simone, Rocco, Ciro, Luca». Sono, con la madre, quattro dei cinque fratelli che compongono la famiglia protagonista del film. Il quinto, Vincenzo, non appare come capitolo a parte. Vincenzo è già a Milano quando la sua famiglia lo raggiunge. Con tale omissione si vuol forse sottolineare che la storia è della parte di famiglia che dal Sud è venuta al Nord? Ma non vi è venuto anche Vincenzo? E, del resto, anche Vincenzo ha una sua storia nel film: il fidanzamento, il lavoro, il matrimonio, il battesimo, la partecipazione alle vicende di Simone e di Rocco, ecc.. E ancora: il titolo del film parla dei fratelli di Rocco: non nomina la madre, che pure ha un proprio capitolo e comprende ovviamente Vincenzo, che è uno dei fratelli. A parte questi due interrogativi che appaiono senza risposta, la divisione in capitoli non sembra determinare molto nello sviluppo del film e nella sua struttura, se non un certo legame esteriore in base al quale, quando un capitolo sta per cessare, il personaggio che ne costituisce il titolo è di scena con quello cui sarà intestato il capitolo seguente. Né si può dire che i vari personaggi siano preminenti nel proprio capitolo: non lo sono mediante la loro storia personale, poiché il prevalere della loro presenza è troppo debole per far si che il film sia una raccolta di più storie concatenate anziché, com'è di fatto, una sola storia a più protagonisti; non lo sono con una configurazione personaggistica che nei relativi capitoli venga determinata e resa compiuta, poiché ciò si attua lungo tutto lo svolgimento dell'opera; non lo sono nemmeno con una vera e propria preminenza di quel personaggio a quel momento dell'intera storia, perché se ciò potrebbe essere vero per il capitolo di Rocco, non è affatto vero per gli altri e soprattutto per quello di Ciro in cui avvengono i fatti più importanti di tutta la storia (il trionfo pugilistico e l'assassinio) che si riferiscono rispettivamente a Rocco e a Simone.

C'è tuttavia un certo significato nella disposizione progressiva dei titoli (ripetiamo: non nella disposizione dei capitoli, che di fatto non esistono nemmeno come sequenze, né dei personaggi, che di fatto operano con eguale intensità da capo a fondo), in quanto, dopo la madre che è la più sconfitta, viene un Simone sconfitto non già - come questa - dalla natura delle cose bensì dal suo comportamento nel nuovo ambiente, di cui ha assimilato solo le cose peggiori; segue un Rocco sconfitto da un'ingenuità ancestrale che gli impedisce di dimensionare gli avvenimenti nella luce del mondo nuovo e diverso in cui avvengono; segue un Ciro sconfitto solo come meridionale ma non come uomo perché ha assimilato la mentalità del Nord che certo non possiede alcuni valori spirituali del Sud (v. le ultime frasi del film: «Io non so se un mondo così fatto sia bello»; «Rocco è un santo, ma i santi come lui fanno disastri»); e segue finalmente Luca il quale - come più giovane - potrà forse affrontare quella mentalità senza perdere quegli altri valori, oppure, più probabilmente, li perderà senza accorgersi d'averli perduti, sotto il pretesto di una acquisita coscienza sociale e quindi per lui non si potrà nemmeno parlare di sconfitta. In tutto ciò, come si vede, c'è, si, almeno, una indicazione tematica, ma nulla c'è d'indicazione strutturale. Né pare che la divisione in capitoli, così com'essa è nel film, giustifichi minimamente il parlare di «romanzo cinematografico», se non per una lontanissima analogia, più di sapore letterario e di ricercatezza formale che di sostanza oggettiva e di realtà stilistica. (Il parlare poi di «romanzo» per altri motivi, quali la vastità della storia o dei problemi o quali il contrapporre «romanzo» a «racconto», ci pare nella migliore delle ipotesi un pleonasmo, dal momento che il «racconto» cinematografico non ha significato di estensione - e cioè quantitativo - bensì qualitativo e quindi l'analogia può avvenire solo sul piano compositivo e strutturale.) Fallito quindi il tentativo di scoprire una strutturale filmica seguendo le piste che l'autore pareva indicarci, dobbiamo rifarci ai consueti canoni dell'analisi.

La storia è soprattutto di Simone, poiché è la sua vicenda che in gran parte condiziona quella degli altri; non tanto tuttavia da impedire a questi di avere un loro peso strutturale. Ma di tutti i molteplici personaggi, tre sono i veri protagonisti che danno un senso tematicamente compiuto alla vicenda: Simone, Rocco e Ciro. Gli altri sono sfondo, contorno, conferma, ambiente. Simone è il personaggio la cui anima meridionale è la meno profonda, quello che del meridione porta solo gli istinti e la spavalderia pretenziosa: nel nuovo ambiente assimilerà pertanto solo gli aspetti deteriori e si rovinerà vergognosamente e - si può supporre - irrimediabilmente. Rocco è il personaggio che possiede il fondo dell'anima meridionale, eroica nella solidarietà (più che nella bontà vera e propria), ma insufficiente - cosi com'è - ad affrontare le prospettive d'un ambiente profondamente diverso, e in certo senso anch'egli si rovinerà pur convinto d'aver fatto tutto e solo quant'era suo dovere. Ciro è il personaggio più realistico e in certo senso più tragico, perché, superando i legami dell'anima meridionale, s'immerge come conviene nel nuovo ambiente, si sistema ed opera con frutto sotto ogni riguardo, ma, quand'è giunto a quello che voleva, deve constatare l'impossibilità della conciliazione dei due mondi e, accettando gli estremi del nuovo, sente o fa sentire di dover abbandonare qualcosa ch'è pur nelle radici nella sua esistenza concreta. Pertanto, il significato tematico del film è nella presentazione dei due mondi, il Nord e il Sud, così diversi in profondità e così inconcepibili, mentre la vita - o almeno quello che pare essere la vita (il pane tranquillo e la soddisfazione del vivere) - impone una scelta non equivoca. C'è nell'autore, senz'altro, il suggerimento dell'ineluttabilità di questa scelta, ma c'è insieme la sua drammaticità tragica, poiché essa esige lo sradicamento di qualcosa che pare più profondo della vita stessa; della vita, almeno, intesa nel senso qui sopra indicato.

Ne segue che tutto quanto nel film può sembrare denuncia sociale o apertura su problemi contingenti della trasmigrazione in atto dal Sud al Nord, è solo contorno, ambientazione, argomento, ma non tema vero e proprio. E sotto il profilo tematico, ciò costituisce la vastità e insieme il limite del film. La vastità poiché, forse senza volere (se si deve stare a quanto egli o altri hanno dichiarato), Visconti ha toccato un grosso problema, ch'è spirituale prima che sociale o politico. Il limite, poiché non essendo stato inteso in tale sua dimensione, il problema è risultato sbozzato, proposto, ma non risolto: anzi è stato in parte distratto dagli aspetti contingentemente sociali.

Anche sotto l'aspetto strutturale il limite si fa sentire. Con tre soli personaggi che costituiscono il nerbo del film, la congerie degli altri personaggi e il contesto narrativo sviluppato secondo le esigenze di ciascuno di essi, amplificano inutilmente il quadro dell'azione e arrecano elementi che sembrano di struttura mentre sono solo di contorno (si noti che il personaggio di Nadia, pur importantissimo, è solo il pretesto narrativo che permette lo svolgersi della vicenda in modo da mettere in rilievo gli aspetti meridionalistici - istinto, tradizioni, passionalità, coltello, ecc. - dei protagonisti). D'altra parte, se a costoro e a codeste cose si cerca di dare significato di struttura, ci si accorge che l'equilibrio dell'insieme non risulta, che certi elementi (p. e. Luca, la madre, la disunione della famiglia) sono troppo poco sviluppati e significanti per controbilanciare il peso apportato da altri (p. e. la vera conclusione della storia); mentre essi sono fin troppo imponenti per sostenere il ruolo di solo contesto o contorno. Riallacciandoci dunque alla questione del «romanzo cinematografico», è forse il caso di dire che la cultura, che certo non fa difetto all'autore, e la vastità della gamma delle sue emozioni artistiche, gli hanno reso difficile una precisa definizione degli estremi di un'opera di linguaggio cinematografico, nel quale pure egli si manifesta signore disinvolto, raffinato e sensibilissimo.

Sotto il profilo morale, l'esasperata violenza di parecchie scene, denunciando più una ispirazione sadica che un'esigenza di realismo, pronunciano da sole la propria condanna (anche in sede di buon gusto) e il disgusto che ne deriva alla media degli spettatori non ha certo bisogno di essere sollecitato in altri modi né tanto meno di essere annacquato da curiosità morbose provocate da controproducenti scandalismi. Ma ben più di tali scene, hanno importanza per un giudizio morale la dimensione tematica e le intenzioni sociali del film. L'intento di aprire gli occhi su quel fenomeno di trasmigrazione dal Sud al Nord, che tanti problemi d'ogni genere solleva nella cronaca e nella storia italiana contemporanea, è certamente più apprezzabile ed encomiabile che solo ammissibile. L'intento di fare di ciò una speculazione affaristica o politica sarebbe per contro ingiusta, inopportuna e biasimevole. Che tale fosse l'intento dell'autore non è dato dimostrare con nessun argomento valido; che di fatto il film serva oggettivamente a tali speculazioni pare pure difficile poter sostenere, qualora il film venga letto nella sua oggettiva realtà e non nelle eventuali e presunte intenzioni dell'autore. Ma non stupisce che taluno possa sentirsi offeso, a torto o a ragione, nel veder pubblicare sullo schermo aspetti di una realtà che esiste di fatto, che non si può negare e che si incontra ogni giorno. Ciò che invece oggettivamente si può sottoporre a pesante critica morale è l'aver visto quei problemi in una visuale che si limita ai sentimenti o alle sensazioni anziché allargarsi e approfondirsi nel dominio dello spirito, e soprattutto l’aver soffocato sotto l'incombere di violenze sceniche e di suggestioni ideologiche la chiara ed esatta visione del problema nella sua precisa fisionomia. Il problema di quella trasmigrazione è anzitutto un problema spirituale, prima che di sentimenti o di tradizione. Se il film di Visconti reca l’intuizione che il problema è il contrasto di formazione e conformazione mentali, più che l'adattamento di abitudini e di temperamenti, esso però non indica nemmeno lontanamente la realtà spirituale di fondo e tanto meno intravvede una soluzione in chiave spiritualistica. E ciò costituisce indubbiamente nella  migliore delle ipotesi una grave lacuna morale.

 


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